Buongiorno, è giovedì 28 settembre e il caffè è amaro, com’ adda’ essere, io sono Antonio Roma, autore, attore e regista di Teatro Civile, blogger e podcaster (mi illudo che oggi ci sia qualche nuovo lettore e che ancora non mi conosca) e state leggendo ‘Na tazzulella ‘e café. Cos’è? Le note del mio iPhone, dove mi appunto cose, spesso riguardano ciò che è quel giorno sui giornali, un commento, una sensazione, spesso invece spaziano dai consigli culturali alle elucubrazioni mentali… e ancora alle risposte a domande che sono nate sui social in merito ai monologhi.

Oggi e domani risponderò a due di queste che, a mia volta, ho fatto a Luca Leone, giornalista professionista, laureato in Scienze politiche, direttore editoriale e co-fondatore della casa editrice Infinito edizioni. Autore di libri sulla Bosnia che costituiscono le fondamenta di una comprensione della Bosnia e della ex Jugoslavia.

Cominciamo dalla prima…

Perché la parola Bosnia è sempre accompagnata dalla parola di etnia?

Ogni volta che utilizziamo la parola etnia facendo riferimento a serbi di Bosnia, musulmani di Bosnia e croati di Bosnia commettiamo un errore perché l’uso della parola etnia è un uso sbagliato. A prescindere dal credo, che siano cattolici, musulmani o ortodossi i bosniaci sono uno stesso gruppo etnico. Parlano la stessa lingua, hanno delle componenti culturali di base comuni, che affondano le loro radici nei secoli. Sono tutti quanti slavi del sud. A differenza degli albanesi e degli sloveni, per esempio, che non sono slavi del sud. Quindi, mentre possiamo parlare di etnia per quanto riguarda gli sloveni, gli albanesi, i magiari, i tedeschi, gli italiani che vivono oggi in Bosnia e Erzegovina, non possiamo per i tre gruppi detti costitutivi.

L’etnia è una, i gruppi nazionali sono invece tre.

E ogni gruppo nazionale è caratterizzato da una sua appartenenza culturale, religiosa e così via, con elementi però di differenziazione minimi rispetto a quelli che li accomunano. Se parliamo della lingua parliamo di un 97%, 98% di vocaboli, oltre che chiaramente dell’intera grammatica usati da entrambe le parti. Quello che cambia è l’alfabeto e quello che cambia sono i neologismi e gli arcaismi che esistono, o sono sempre esistiti, o sono stati introdotti negli ultimi anni nelle rispettive lingue per differenziarle rispetto alla lingua comune, cioè la lingua jugoslava, il serbo-croato-bosniaco.

Quindi il punto di partenza è questo. Rifiutare l’uso improprio del fattore etnico e puntare invece, per meglio conoscerli, sull’esame e sullo studio delle loro differenze culturali, inclusa chiaramente la questione del credo.

Perché quella scelta?

La ragione è molto semplice. L’uso improprio del concetto di etnia e la radicalizzazione politica che comincia con la guerra del 92–95 e poi, dopo la guerra, diventa ancora più evidente e marca separazioni sempre più nette tra i tre diversi gruppi nazionali. Porta chiunque voglia parlare di quella terra e degli eventi storici che nella contemporaneità l’hanno rappresentata a dover fare molta attenzione agli interlocutori, che non possono e non devono essere interlocutori che facciano riferimento a gruppi nazionalisti o, addirittura, ultra nazionalisti, perché vorrebbe dire andare a parlare con persone intellettualmente non libere alle quali bisogna fare sempre attenzione. Persone che fanno riferimento e sono a loro volta portavoce di interessi di parte, di cui erano portavoce Tuđman, Izetbegović, Milošević e i rispettivi entourage, a Dayton tra il 1° e il 21 novembre del 1995.

Le guerre jugoslave sono state volute e fatte da minoranze, utilizzando in modo strumentale i propri eserciti e facendo riferimento, soprattutto per l’espletamento del lavoro sporco, a gruppi paramilitari ancora oggi operativi magari con una divisa della polizia o dell’esercito dei rispettivi Paesi per cui hanno servito addosso. “Non puoi e non devi, mi dice Luca, se fai il mio lavoro, dare voce a persone che hanno provocato la guerra, che si sono arricchite con la guerra e che, ancora oggi, attraverso la separazione, sfruttano l’onda lunga della guerra, perché la separazione, la divisione tra i tre grandi gruppi nazionali, è alla radice della permanenza al potere dei gruppi nazionalistici. Attraverso una strumentalizzazione delle differenze religiose ed etniche e attraverso l’uso dello scippo sistematizzato delle risorse dello Stato. Quello che devi fare, se vuoi fare un lavoro fatto bene, è parlare con le persone libere, intellettualmente e politicamente.

Ce verimm riman, stàteve buòno!