La scuola è ricominciata, ho una quinta elementare. Non una qualsiasi a dire il vero, ma la quinta che lo scorso anno era la mia quarta e due anni fa la mia terza. Sabato sera a Udine, dov’ero per la replica del monologo di Teatro Civile Markale, un freddo davvero impensabile ha abitato per qualche ora muscoli e ossa. Domenica si è congedato, ma il mio corpo ne serba il ricordo e mi sono svegliato oggi con la sensazione di infreddolimento che mi accompagnerà fino a primavera. Conclusione del mio incipit: è autunno. Almeno per me…
La ripresa a scuola e il primo vero freddo dopo mesi di caldo hanno nella mia ipocondriaca mente fatto eco a un’altra parola, ondata, con la quale facciamo i conti più o meno a intervalli di tempo costanti da ormai due anni. Non è però di ondate Covid che voglio parlare – la sto prendendo alla larga – ma di elezioni.
Sebbene soffriamo di una grave amnesia collettiva in questo Paese e in Europa – non parlo del resto del mondo perché non lo conosco abbastanza – e l’indignazione e lo sconcerto per qualsiasi tragedia durano il tempo di un post o di un tweet è innegabile che la pandemia, irrompendo nelle nostre vite, abbia messo in luce con durezza le nostre fragilità – tanto quelle personali quanto quelle istituzionali – costringendoci ad acquisire la consapevolezza che siamo frangibili, che non si può rimanere sempre sani in un mondo malato.
Oggi, in confronto ad un passato nemmeno troppo lontano, viviamo di più e meglio. E questa è una gran bella cosa. Ma contemporaneamente aumenta il numero delle persone vulnerabili. È il paradosso della potenza: ci fa convivere con un diffuso indebolimento. Le persone risanate dalle malattie da cui sono state colpite vivono più a lungo, ma non per questo viene cancellata la loro (nostra) radicale fragilità.
Nella sofferenza e nella morte di un enorme numero di persone abbiamo imparato la lezione della fragilità. Ce lo ricordano le migliaia e migliaia di anziani morti per il Covid-19, gli innumerevoli disabili dimenticati durante la pandemia, come anche i bambini, che non hanno ricevuto quanto era loro necessario per la crescita. In numerosi paesi gli ospedali hanno fatto fatica a soddisfare le richieste di ricovero, costringendo anche al razionamento e alla sovraesposizione del personale assistenziale. Una miseria immensa, indescrivibile! La lotta per la sopravvivenza ha evidenziato la condizione di coloro che vivono in uno stato di povertà estrema ai margini della società e degli abbandonati destinati all’oblio nell’inferno dei campi profughi.
Abbiamo conosciuto il volto più tragico della morte. La solitudine della separazione, famiglie impotenti, impossibilitate ad accomiatarsi dai loro cari, senza neanche la possibilità della pietà di una sepoltura adeguata. Vite spezzate senza alcuna distinzione di età, status sociale o condizioni di salute.
Fragili e frangibili. È ciò che siamo.
Domenica 25 andremo a votare… la sensazione è che anche in Italia vincerà quella politica immeritevole di maiuscola, che ha le sementi nel populismo, caratterizzata da divisioni e scontri, da una separazione tra uno e loro. Una politica che lascia indietro anziani, poveri, disabili, stranieri, carcerati, ammalati e che sceglie consapevolmente di non prendersene cura. Guidata da risentimento e paura, da rabbia e violenza. Una politica oppositiva.
La sopravvivenza è possibile solo con un ripensamento della politica nella direzione del Noi. Un Noi consapevole e consapevolizzante, capace di contrastare le amnesie collettive che condizionano in modo irrimediabile le nostre fragili, frangibili esistenze.
Ce verimm riman, stàteve buòno!