Buongiorno, è martedì 25 ottobre, il caffè è amaro, com’ adda’ essere, e state leggendo ‘Na tazzulella ‘e café… le note del mio iPhone.
Di solito non commento un solo articolo, a meno che non mi piaccia davvero davvero molto. Ultimamente se capita, quando capita, capita con il quotidiano Domani.
L’articolo in questione è dello scrittore e critico Walter Siti, uscito sul mensile Finzioni sabato 22 ottobre. S’intitola La letteratura è un correttivo della politica identitaria e offre più di uno spunto di riflessione…
Ma che ci dice d’importante il buon Walter Siti?
Essere sé stessi è letteralmente inevitabile (“sii te stesso”, diceva Wilde, “tutti gli altri sono già presi”); quindi la frase va interpretata come “rifiuto i pregiudizi e rivendico il diritto di non essere discriminato, lotto per una società accogliente e inclusiva”.
Come spiega molto bene Walter Siti, non possiamo concepire i diritti come una licenza individuale, o sono collettivi o non lo sono; nell’odierna battaglia culturale per i diritti civili, contro le forme sistemiche di esclusione e di ingiustizia, in prima fila abbiamo le categorie che non hanno ancora avuto un riconoscimento paritario – la rivendicazione si è spostata dunque dalla diversità individuale alla politica identitaria. “In questa tensione tra desiderio privato e riconoscimento pubblico del desiderio si consuma un passaggio delicato: all’individuo desiderante si chiede di indossare un tesserino, di dichiarare la propria appartenenza.”
Scrive sempre Walter Siti: “un trentottenne amico scrittore mi diceva l’altro giorno che i gay (bianchi) palestrati che frequentano le feste queer cominciano a dare fastidio (occupano a torso nudo tutto lo spazio della pista, sono troppo maschi); dentro la g della sigla Lgbt+ si stanno operando dei distinguo. Il desiderio individuale, se fissato da vicino, mette in discussione anche il tema della libertà: non siamo padroni dei nostri desideri più di quanto siamo padroni del nostro inconscio.”
Ogni individuo, come sottolinea bene Siti, non è soltanto detentore di uno o più diritti, ma “nodo di identificazioni e di fantasmi che provocano invincibili coazioni a ripetere e che non possono essere confusi con quelli di altri. Il rapporto tra individualità e identità è spesso conflittuale: la seconda è etica, politica, normativa sia pure di minoranza, mentre la prima è perversa, antisociale, problematica. La politica tende a categorizzare le infinite diversità per renderle nominabili secondo la legge: sia per accoglierle sia per bollarle come devianze.”
La letteratura sceglie invece un approccio molto differente, antitetico: tende a rifiutare le categorie perché somigliano troppo alle etichette, agli stereotipi, sceglie personaggi e relazioni che abbiano il pregio di andare in direzione ostinata e contraria rispetto alle aspettative (“le famiglie felici si somigliano sempre, ogni famiglia infelice lo è a modo suo”, scriveva Tolstoj e ci dice Siti “forse si sbagliava: anche le famiglie felici lo sono a modo loro, basta essere abbastanza bravi e abbastanza coinvolti per notarlo”).
Il correttivo
“Come in un brutto sogno, mi è venuto in mente che però un rischio ci sia: se uno studioso può confondere fino a questo punto le cose, e se i giovani per sentirsi “unici” e “liberi” si affidano a etichette identitarie, non è che pian piano anche gli scrittori si penseranno come influencer (condizione ritenuta, chissà perché, invidiabile)? E per far questo dimenticheranno che non sono loro a possedere le storie, ma sono le storie che li possiedono? La letteratura – conclude Siti – è fatta di storie, ma non tutte le storie sono letteratura. La letteratura non è un’aiutante della politica, è un suo correttivo.”
Ce verimm riman, stàteve buòno!