Buongiorno, è venerdì 30 settembre e il caffè è amaro, com’ adda’ essere, e state leggendo ‘Na tazzulella ‘e café.
Cos’è? Le note del mio iPhone, dove mi appunto cose, spesso riguardano ciò che è quel giorno sui giornali, un commento, una sensazione, spesso invece spaziano dai consigli culturali alle elucubrazioni mentali… e ancora alle risposte a domande che sono nate sui social in merito ai monologhi.
Ieri e oggi ho scelto di rispondere a due di queste che, a mia volta, ho fatto a Luca Leone, giornalista professionista, laureato in Scienze politiche, direttore editoriale e co-fondatore della casa editrice Infinito edizioni. Autore di libri sulla Bosnia che costituiscono le fondamenta di una comprensione della Bosnia e della ex Jugoslavia.
Dayton…
Gli accordi di Dayton del novembre del 1995 hanno messo fine alla guerra di Bosnia, che ebbe inizio nel 1992. Senza gli accordi di Dayton, la diplomacy di Tony Lake, il lavoro diplomatico di Richard Holbrooke, l’impegno dell’amministrazione Clinton non si sarebbe arrivati ad un accordo di pace e la guerra si sarebbe trascinata ancora a lungo. Gli accordi hanno avuto da questo punto di vista un’importanza enorme.
Il problema risiede nel fatto che gli accordi sono nati in modo sbagliato e hanno portato a delle conseguenze, anche dal punto di vista giuridico, sbagliate. Questo è il punto. A quel tempo forse non lo si poteva prevedere o comunque veniva data priorità alla cessazione delle ostilità. Già nei quattro/cinque anni successivi alla stipula degli accordi era evidente come gli accordi sarebbero diventati un grosso masso legato alle caviglie di quel Paese. La situazione è peggiorata quando all’inizio del nuovo millennio nessuno si è ricordato che gli accordi di Dayton e l’annesso 4 degli accordi (la costituzione ancora oggi vigente in Bosnia) avrebbero dovuto essere emendati. Ciò non è mai accaduto.
La parola a Luca
“Qui – dice Luca Leone – nasce il grosso problema. Non vedo un trascinamento del conflitto nei 25 anni successivi alla fine della guerra, vedo la trasformazione favorita dagli accordi di Dayton delle false ragioni alla base dello scoppio del conflitto, e cioè l’impossibilità per gruppi con una presunta appartenenza etnica, linguistica e religiosa diversa di convivere. Dayton ha, volente o nolente, trasformato delle false ragioni, delle false scuse, in problemi reali, che non c’erano prima che scoppiasse la guerra. E questo, anno dopo anno, si radicalizza sempre di più, come si radicalizzano sempre di più i rapporti tra i tre grandi gruppi costitutivi della Bosnia ed Erzegovina e i rapporti con le altre componenti, in questo caso etniche, diverse che convivono in Bosnia e Erzegovina.
Questo il problema legato agli accordi di Dayton. La conseguenza, a suo tempo passata decisamente in secondo piano, che alla firma c’erano Izetbegović in rappresentanza dei bosniaci musulmani, Milošević che faceva gli interessi dei serbi di Bosnia e Tuđman quelli dei croati di Bosnia. Ognuno di loro con i propri entourage ha fatto gli interessi dei popoli che erano chiamati a rappresentare, ma nessuno ha fatto mai gli interessi del popolo bosniaco ed erzegovese nel suo complesso. Questo, anno dopo anno, rappresenta un punto di divaricazione sempre maggiore nei rapporti tra questi tre grandi gruppi.
Il principio del tiro con l’arco
Nel tiro con l’arco, maggiore è la distanza, e, pur commettendo un piccolo errore tecnico, lo scostamento in termini di millimetri e poi di centimetri e poi addirittura di metri si fa sempre maggiore man mano che la freccia va lontano.
Questo è quello che sta succedendo, anno dopo anno, con gli accordi di Dayton. Hanno messo fine alla guerra ma hanno determinato lo stallo economico, sociale, culturale e, nel complesso, civile in cui nell’ultimo quarto di secolo è stato trascinato il Paese e una popolazione che tra l’altro è sempre più esigua perché chi può scappa lontano. La Bosnia ed Erzegovina di Dayton è un Paese invivibile, che non dà alcuna prospettiva di sopravvivenza, alcuna prospettiva di un domani. Soprattutto ai giovani che rimangono a vivere in questo Paese. Ciò era chiaro fin dagli anni immediatamente successivi alla firma degli accordi. Ma le cancellerie hanno fatto e fanno orecchie da mercante, a cominciare da Bruxelles. Stallo che, però, con il passare degli anni, sta dando sempre più basi solide a coloro che vogliono spaccare questo Paese in tre. Di fatto fare quello che non è stato possibile fare a serbi e croati durante il conflitto del 92–95.”
GRAZIE Luca, GRAZIE di aiutarci a comprendere di più un Paese che per l’Europa significa molto di più di quanto l’Europa voglia convincersi. Il Novecento comincia e si conclude con la Bosnia, ma anche il nostro attuale secondo comincia da lì, dai migranti che passano da Bihać.
A lunedì e buon weekend, con la speranza che, come dice Matteo Bordone, possiate fare cose di cui vergognarvi solo il lunedì.
Ce verimm lunnerì, stàteve buòno!