Buongiorno, è lunedì 24 ottobre, il caffè è amaro, com’ adda’ essere, e state leggendo ‘Na tazzulella ‘e café… le note del mio iPhone.
Ieri è stata una domenica speciale, era il compleanno di mio padre e abbiamo dopo anni fatto una cena di famiglia. Non so bene perché, il nostro cervello macchina in modi che non sempre sono spiegabili ma mi sono svegliato con un racconto breve che ho scritto anni fa e che mi piacerebbe condividere con voi oggi.
“La Controra” è il primo racconto che ho scritto per il blog Trame di Educare alla Bellezza.
Non c’era il Covid ed io non ero ipocondriaco. O forse sì, ma non lo sapevo.
La casa di Pietro e Teresa abita un paesino del Mediterraneo a strapiombo sul mare da poco meno di cinquant’anni.
Nelle giornate di Pietro ci sono una rete e una barca, i monologhi e le bestemmie, il dolore e il solitario a carte.
In quelle di Teresa ci sono un libro imparato a memoria e delle galline, la cucina e le pulizie, la sopportazione e più di un accenno di Alzheimer.
Lui ha imparato il mestiere del pescatore per esigenza, e solo dopo la pensione, ma detesta i propri pesci, e dice: oggi a cena mangeremo una gallina.
Lei è meno scriteriata, e dice: meglio il pesce.
Esigenza di lui: prendersi delle pause dal proprio matrimonio, nascondersi in mare aperto, con il vento e le onde, le intemperie e le bestemmie scagliate a voce alta contro il cielo perché Gesù Cristo possa udirle come sono: esplicite, non meschine.
Per Pietro le bestemmie sono preghiere, e il mare aperto una Chiesa. Una Chiesa meno pericolosa di quelle con il pavimento di marmo, come quella del Paese, in cui aveva messo piede in poche occasioni: il giorno del matrimonio, quello del battesimo dei figli, e quando Teresa si era ammalata e lui era crollato febbrilmente in uno stato di panico e di angoscia.
Aveva esitato fino all’ultimo perché di imbattersi nelle chiacchiere con la malalingua del sagrestano non ne aveva proprio alcuna voglia. Poi però era entrato, si era tolto il cappello della domenica e aveva chinato il capo, ma non appena si era mosso verso i banchi era scivolato sul pavimento bagnato e cascato a terra come un masso precipitato dall’alto, correndo più di un rischio di rompersi il coccige. Da allora non ne aveva più voluto sapere.
Esigenza di lei: indossare un abito che non le sta più bene, e gli orecchini ad anello. Guardarsi allo specchio con le stesse remore del primo appuntamento. E poi abbozzare un sorriso nello scoprirsi vecchia, ma ancora donna, e ancora bella. Nonostante gli acciacchi, nonostante le rughe, e nonostante l’Alzheimer.
L’afa e l’estate, le mancanze e il matrimonio.
La noia si trascina nel cortile, come un vecchio gatto strascica le zampe di malavoglia in tutti gli angoli, puzza di languore.
La gatta si riscalda la pancia che il gatto ha benedetto sulle mattonelle bollenti.
Dal caldo gelso cadono sonoramente grosse gocce di sangue coagulato.
Una donna è seduta sulla panca di pietra, china su un libro. Il libro. Imparato a memoria. Cominciato e terminato. Terminato e ricominciato innumerevoli volte.
Gli occhiali le sono caduti in grembo, dorme.
Le finestre, accecate dal sole, mandano occhiatacce torve al mare aperto, condannate alla noia dall’immagine eternamente identica su cui si affacciano.
Con le loro gambe invisibili sotto la roccia, i pini sono quieti, spossati dall’immobilismo.
Le cicale sollevano invano un allarme stridulo.
Il Paese è arido di parole. Gli asini non ragliano e i bambini non gridano. Tra le donne non ci sono alterchi e gli uomini non si ammazzano per le carte. È la controra.
Sul mare aperto solo un riverbero rabbioso, una contrazione di collera. Nell’aria languide correnti calde.
Un altro piccolo sforzo del sole, una tensione più alta di un solo grado e dal sonno inerte tutto trasmigrerà nella morte, le galline si fermeranno col becco conficcato nella pietra, la gatta smetterà di sollevare l’otre della sua pancia, il frinire delle cicale si arresterà di colpo, la donna smetterà di fare schioccare la lingua con la sua bocca sdentata.
Solo ancora un po’ , solo un po’ più di torpore e di noia.
Lui sta in piedi, appoggiato mollemente alla ringhiera rossa. Rossa come il berretto, solo appoggiato alla testa, su cui non sostano capelli da tempo. Una maglia bianca, intima, e pantaloni blu e corti, di velluto.
Burbero e indolente, roteando gli occhi pigramente, fiaccamente, aspetta con ansia accada qualcosa…
– Che è successo?
– Niente.
– Mi sono spaventata.
– Per cosa?
– Un rumore.
– Non ci sono stati rumori.
– Era forte.
– Hai sognato.
– Non dormivo. Leggevo.
– Russavi.
– No, non è vero. Ho soltanto chiuso un attimo gli occhi per riposarli.
– Ti sei addormentata. Come una vecchia.
– Sono vecchia, Amore mio. Anche tu lo sei.
– Non chiamarmi Amore mio.
– Vuoi del vino, Amore mio?
– Non voglio del vino. Credi sia un ubriacone?
– No, certo che no.
– Ti sembro forse un ubriacone?
– No, non sembri un ubriacone, Amore mio.
– Allora piantala di domandarmi se voglio del vino!
– Te lo domando perché ti piace.
– A te piacciono le noci ma non ti chiedo se vuoi delle noci.
– Non me lo chiedi perché un marito non dà alla moglie le attenzioni che una moglie dà al marito.
– Torna a dormire.
– Leggere.
– Leggere. Va bene. E lasciami in pace!
– Sei indolente, Amore mio.
– Non sono indolente.
– È perché ti annoi.
– Sì. Mi annoio.
– Potresti uscire in barca.
– Sono uscito ieri.
– Oggi è un altro giorno.
– No.
– Potresti andare al cimitero da tua sorella. Da quando è morta non sei ancora andato.
– Non mi piacciono i cimiteri.
– No. Ma ti piaceva tua sorella.
– Non importa. Al camposanto ci andrò solo da morto. Molto presto.
– Amore mio… non stai morendo… sei solo paranoico.
– Non sono paranoico. Sto morendo e non chiamarmi Amore mio!
– Perché non chiami i nostri figli?
– Quale dei due? L’egoista o l’ingrato?
– Non dire così. Ci amano.
– A me no. E tu non illuderti. Ci hanno dimenticato.
– Non ci hanno dimenticato.
– Non ricordano le nostre fisionomie e i nostri volti.
– Li ricordano.
– Presto non ricorderanno nemmeno più i nostri nomi.
– Siamo i loro genitori. Non ci possono dimenticare.
– Certo che possono. E non ho dubbi quando dico che ci dimenticheranno.
– No. Li vedremo prima di Natale.
– Non illuderti, non li vedremo nemmeno a Natale. Quei due bastardi hanno levato le ancore e preso il largo.
– Non parlare di loro così. Sono i nostri figli. Abbi fede. Li vedremo tornare presto.
– Per seppellirci. Forse. E non ne sono nemmeno sicuro.
– Sei diventato cinico.
– Sono diventato vecchio. E lo sei diventata anche tu. Prima ti sei addormentata.
– Non mi sono addormentata. Stavo leggendo.
– Vivi di illusioni.
– Tu di malcontento.
– Io vivo di malcontento e tu vivi di illusioni.
– E ci sopportiamo.
– Non abbiamo scelta. Abbiamo bisogno l’uno dell’altra.
– Io ho te e tu hai me.
– Sei il mio porto. Ogni uomo ha bisogno di una donna che sia sempre pronta ad accoglierlo quando tornerà a casa: un luogo caldo e sicuro…
– Che belle parole, Amore mio… mi sono commossa.
– Perché sei vecchia e ti commuovi come ti addormenti. Di continuo.
Ce verimm riman, stàteve buòno!