Buongiorno, è lunedì 28 novembre novembre, il caffè è amaro, com’ adda’ essere, e state leggendo ‘Na tazzulella ‘e café… le note del mio iPhone.

Questa settimana conclusiva di novembre la dedichiamo al dialogo con…

Oggi cominciamo da Alice Ponti, creator, fotografa, coautrice dei monologhi di Teatro Civile Fisionomie e Nedo, del podcast Markale che uscirà presto e con una rubrica nel mio blog Thalleìn di nome Caffè fotografico

  • In Caffè fotografico hai parlato della guerra in Bosnia e di chi l’ha raccontata con la fotografia. Quanto le immagini sono Testimonianza e quando invece travalicano un limite etico?

In caffè fotografico ho deciso di dedicare un articolo intero al racconto della guerra in Bosnia attraverso le immagini e l’ho fatta parlando del progetto Sniper Alley Photo. 

Dal mio punto di vista una foto, qualunque sia l’intento con cui viene scattata, è sempre testimonianza di qualcosa perché fissa un determinato attimo nella storia. Una fotografia è in grado di congelare un momento e di raccontarlo per sempre. 

Nel caso della fotografia di guerra il valore di testimonianza è forse ancora più importante ma al tempo stesso più delicato da interpretare.  I reporter in zone di guerra devono avere una sensibilità maggiore perché ciò che stanno scattando non sono immagini qualsiasi, sono scenari che rimarranno classificati nella storia come terribili. Ecco perché molti fotografi scelgono la via dell’anonimato, rendendo i soggetti irriconoscibili o includendo nell’inquadratura dettagli non direttamente riconducibili ai connotati di una specifica persona. In conclusione quindi immortalare è importante e una fotografia è, secondo la mia visione, sempre una forma di testimonianza, ma, sopratutto difronte a scenari delicati, seguire il buon senso e alcune regole etiche base è imprescindibile.

  • La fotografia che documenta una guerra è comunque Arte? O è “solo” un reportage fotografico?

Io credo che la fotografia sia sempre una forma d’arte. 

La parola fotografia deriva da due termini del greco antico: phôs, luce e graphè, scrittura. Fotografare significa quindi scrivere con la luce e  questi non può che essere una forma d’arte. Anche nel caso dei reportage di guerra quindi ci ritroviamo di fronte a un’espressione artistica. Se ci si pensa, ciò che compie un fotografo scattando l’immagine di un paesaggio straziato da bombardamenti o fotografando le persone che si trovano in quel paesaggio non è tanto diverso da ciò che ha voluto fare ad esempio Picasso con Guernica. In entrambi i casi la volontà è raccontare qualcosa, esprimere, testimoniare l’orrore della guerra. Se Guernica è un’opera d’arte ammirata ogni giorno da centinaia di turisti perché uno scatto che tratta la stessa tematica non si dovrebbe considerare arte?

  • Perché consigli Sniper Alley?

Consiglio Sniper Alley non solo perché è una tra i più importati, se non il più importante, archivi fotografici sulla guerra in Bosnia esistenti attualmente, ma anche perché la storia che si trova dietro alla creazione di questo progetto è davvero ammirevole. Il creatore, Džemil, non trovando la foto per la quale ha iniziata a collezionare tutti gli scatti dei fotografi presenti in Bosnia negli anni del conflitto, quella di suo fratello, avrebbe potuto fermare il suo lavoro. Invece ha deciso di continuare perché è vero, lui non ha trovato ciò che sperava, ma magari altre persone potranno ritrovare un proprio famigliare tra quelle immagini e riempire, almeno in minima parte, il vuoto che la morte di quella persona ha lasciato. Džemil è il suo progetto Sniper Alley Photo sono un grande esempio di altruismo e bontà incondizionata, ecco perché ho deciso di parlarne.

Ce verimm riman, stateve buòno!