Buongiorno, è mercoledì 30 novembre novembre, il caffè è amaro, com’ adda’ essere, e state leggendo ‘Na tazzulella ‘e café… le note del mio iPhone.

Questa settimana conclusiva di novembre la dedichiamo al dialogo con…

Oggi è il turno di Matilde dalla Piazza, mediatrice linguistica e coautrice del monologo Markale, per il quale si è occupata personalmente di raccogliere oltre 100 ore di Testimonianze, insieme a me e Filippo Borgia.

  • Tu hai accolto diverse Testimonianze per Markale, facendo un lavoro di mediatrice culturale e linguistica. Quali sono state le difficoltà?

Grazie a Markale ho avuto la possibilità di gestire in maniera specifica le testimonianze accolte in lingua inglese, storie che hanno potuto arricchire il nostro lavoro di ricerca. Essere una mediatrice linguistica e culturale significa non solo conoscere la lingua con cui si comunica con il nostro interlocutore, ma anche e soprattutto sapere come approcciarsi a persone di diversa mentalità e cultura. 

Il primo passo è stato dunque quello di spiegare alle persone che si rendevano disponibili a raccontarci parte della loro vita, il nostro progetto. Il mio obiettivo era quello di comunicare loro in primis la passione, l’impegno e il rispetto che noi avevamo verso il loro vissuto e l’ambizione di poter raccontare umilmente attraverso le loro esperienze un periodo storico che ha segnato la storia europea del Novecento e che continua a delineare la nostra quotidianità. 

Il nostro intento era quello di elaborare un monologo teatrale che fosse davvero basato sulle storie della gente comune e quindi sulla testimonianza diretta del dolore provato durante la strage di Markale. Ho avuto l’opportunità di interfacciarmi con tipologie differenti di testimoni: attivisti, scrittori, ex soldati, professori, fotografi. 

La difficoltà risiedeva proprio nell’approcciarsi a persone inizialmente sconosciute, cercando di presentare i nostri obiettivi e chiedendo loro di raccontare la loro storia personale e dunque condividere con noi i loro dolori e le loro esperienze. Ogni conversazione ci regalava delle emozioni e degli aspetti inediti della storia che stavamo imparando a conoscere. 

Durante questi dialoghi che ho tenuto per la maggior parte dei casi via google meet a causa della situazione Covid, ho affrontato anche dei momenti più delicati. Come dicevo precedentemente il lavoro di una mediatrice linguistica e culturale può risultare complesso data la diversità del singolo testimone e della delicatezza di ogni singolo racconto. 

È stato dunque fondamentale entrare in empatia con l’interlocutore cercando di pesare ogni parola che utilizzavo con il fine di instaurare un rapporto di fiducia e di collaborazione. 

In questo lavoro la lingua a volte può rappresentare una barriera, perché come è ben noto il concetto espresso nella propria lingua madre ha solitamente un impatto maggiore, ma grazie a questa esperienza di confronto ho potuto constatare quanto la forza di un’emozione espressa attraverso gli occhi possa superare qualsiasi ostacolo linguistico e arrivare dritto all’ascoltatore

  • Che significato ha la Testimonianza nella ricostruzione storica di un avvenimento?

La testimonianza ha fatto da humus all’elaborazione del monologo di teatro civile Markale. L’obiettivo era proprio quello di accogliere le storie della gente comune e capire il loro punto di vista personale. 

Volevamo ricostruire quello che era successo a Markale cercando poi di tessere insieme le testimonianze ascoltate e restituire al pubblico un racconto che arrivasse dal popolo, privo di ogni sovrastruttura politica. 

La scansione storica si può trovare sui libri di storia o studiare attraverso documenti ufficiali che descrivono in ordine cronologico le date e gli avvenimenti accaduti. Attraverso la testimonianza si riesce a fare un passo ulteriore, si ottiene un quadro completo e uno scenario non solo in bianco e nero ma con diverse sfumature. 

Si unisce dunque il quadro storico a quello emotivo, si comprende in maniera più dettagliata le dinamiche che hanno causato determinati eventi e le conseguenze che ne sono scaturite. 

La testimonianza è una benedizione per il futuro, perchè purtroppo con il passare degli anni, dei decenni e dei secoli si tende a dimenticare, il ricordo affievolisce. Avere la possibilità di parlare nel 2022 con persone che hanno vissuto in prima persona quel periodo tragico, ha incentivato ancora di più la nostra ricerca e il nostro voler scoprire nel dettaglio tutto quello che è accaduto. 

Mi piace immaginare la testimonianza come un fil rouge che non solo collega passato, presente e futuro ma crea anche dei legami unendo le vite di chi incontra permettendo attraverso la sua autenticità di ricostruire la storia con consapevolezza.

  • Memoria personale e storia comune. Riflessioni?

Mi è capitato di parlare con diversi testimoni e vedere sui loro volti lacrime di commozione. In particolare mi riferisco a una donna e a un uomo che hanno deciso di raccontarci la perdita dei propri fratelli. Entrambi sono riusciti a descrivere nel dettaglio quello che accadde, ricordavano i luoghi, le tempistiche, come erano vestiti e come si sentirono una volta scoperto della perdita.

Il loro rapporto con la Bosnia è particolare, da un lato quella terra ha tolto loro ciò che di più caro avevano e ha creato una ferita che a distanza di anni non si è rimarginata e che forse mai si curerà. Molti responsabili di crimini di guerra camminano ancora liberi per le città bosniache, accanto magari ai parenti delle loro vittime. Dalle conversazioni emerge come la Bosnia sia un paese con leader politici egoisti e orgogliosi che mettono al primo posto il loro potere piuttosto che il paese che rappresentano. Questo atteggiamento va a discapito del benessere della nazione, probabilmente se ognuno riuscisse ad assumersi le proprie responsabilità con coscienza e consapevolezza quasi certamente si potrebbe davvero voltare pagina verso un futuro migliore. 

D’altra parte però i testimoni nutrono un amore puro e sincero verso la Bosnia, non hanno voluto che il male subito potesse prevalere sulla loro identità nazionale. Sono fieri di essere bosniaci, sono fieri di abitare ancora oggi in Bosnia e sono determinati a lottare nella speranza di donare un paese migliore alle generazioni future. 

Si descrivono come sopravvissuti e combattenti, nonostante le loro diversità, ognuno ha una mission quotidiana ben chiara: affrontando ogni giorno i mostri che ancora oggi abitano la loro mente, tramutano questo dolore in aiuto concreto per il prossimo e di conseguenza anche verso se stessi. 

Perché come disse una testimone “nella vita è troppo facile essere negativi, bisogna essere forti, credere in sé stessi e combattere per le proprie passioni e le proprie idee”

Grazie Matilde per la bella chiacchierata.

Ce verimm riman, stàteve buono!